Zoom fatigue, new normal, lockdown, droplet, infodemia, contact tracing: sono solo alcune delle parole dell’alfabeto pandemico a cui abbiamo nostro malgrado dovuto fare l’abitudine da ormai più di un anno a questa parte.
È possibile che, grazie ai vaccini disponibili, tra qualche mese si esca dalla fase critica della pandemia ed è sempre più comune sentir dire che approderemo a una nuova normalità , ad un nuovo contesto globale in cui molte dinamiche, anche se non tutte, saranno cambiate.
Questo periodo di transizione va sotto l’espressione di New Normal, la nuova normalità , appunto.
Arriveremo davvero a un nuovo punto “fermo†a partire dal quale ricostruire la nostra comfort zone e ricomporre il mosaico delle nostre vite e del nostro lavoro?
Se molte sono le domande, molte sono anche le possibili risposte, considerando che tutto è ancora in divenire.
Di certo, il lavoro è cambiato e il nuovo equilibrio è ibrido, così come lo è ormai l’approccio al mercato.
Nonostante ciò, possiamo avanzare qualche riflessione.
Smart-Working: sempre più regola e non eccezione
Lo smart-working ovvero il lavoro agile, così come definito dalla Legge n.81 del 22 maggio 2017, nella fase emergenziale legata al Coronavirus si è rapidamente evoluto da forma di welfare “per pochiâ€, finalizzata a conciliare vita privata e lavorativa, migliorare le performance aziendali e ridurre l’impatto ambientale, a nuovo standard di lavoro esteso a molti con l’obiettivo di ridurre al minimo i rischi e le possibilità di contagio, pur non rinunciando alla continuità del business.
La ricerca 2020 di Osservatorio Smart Working (#OSW20) ha registrato che nella fase più drammatica della pandemia, oltre 6milioni 580 mila lavoratori (+1054%) si sono dovuti reinventare smart-worker, anche se per la maggior parte dei casi si è trattato di telelavoro.
Nel 2019 gli smart-worker stimati erano solo 570 mila.

Immagine tratta da: https://wow-webmagazine.com/it/osw20-anche-dopo-lemergenza-smart-working-per-oltre-5-milioni-di-lavoratori
La pandemia ha creato quindi le condizioni per una sperimentazione su larga scala dello smart-working e i dati dimostrano che lavorare smart può far bene alle persone e migliorare la produttività .
I lavoratori, infatti, hanno avuto la possibilità di conciliare vita personale e lavorativa in un’ottica di ottimizzazione, riducendo spesso costi e tempo impiegato per dirigersi a lavoro, oltre che limitare le fonti di stress, spesso a discapito di efficienza e produttività lavorativa.
Se da una parte sarà difficile un ritorno completo all’attività in presenza e alle riunioni fisiche (ben sostituite da quelle virtuali tramite le diverse piattaforme disponibili) per altri processi la distanza ha evidenziato maggiori criticità nel rapporto che si è andato a creare fra le persone (meno motivate e più sole) e fra individuo e azienda (dipendenti meno fidelizzati e responsabilizzati).
Digitalizzazione dei processi e della leadership
Il ricorso a forme di smart-working ha permesso di accelerare la trasformazione digitale dei processi organizzativi nelle imprese e favorito lo spostamento verso forme di supervisione organizzativa che mettessero al centro i risultati conseguiti e non il tempo di presenza sul posto di lavoro, e che sapessero gestire tutte le implicazioni derivanti dall’isolamento spaziale degli individui.
Tra le sfide più grandi e complesse da affrontare, senza dubbio c’è quella della motivazione e gestione remota del team di lavoro.
Difatti, se il lavoro da remoto può dare un senso di libertà e permette di gestire meglio il proprio tempo, vi sono casi tuttavia in cui la distanza fisica può far sentire i collaboratori isolati rispetto al gruppo di lavoro.
Attraverso però l’affermazione un nuovo modello di leadership “agileâ€, che metta al centro fiducia, responsabilità e capacità di lavorare per obiettivi di squadra e individuali, lo smart-working può diventare un elemento organizzativo stabile e proficuo e non solo una misura di welfare.
Il ruolo dell’ergonomia cognitiva
Come nella fabbrica della prima e seconda rivoluzione industriale ci si preoccupava per fatica fisica e agenti inquinanti, oggi chi si occupa di salute e sicurezza sul lavoro, ha a che fare anche con temi come la postura, l’ergonomia e lo stress lavoro-correlato.
Lo smart-working ha portato con sé, infatti, la gestione di nuove problematiche.
In questo scenario inedito sembra che sia l’ergonomia cognitiva a fornirci una panoramica su come comprendere i nuovi fattori di rischio psico-sociali, organizzativi, o legati alle nuove modalità di lavoro e come analizzare correttamente gli effetti che gli strumenti che utilizziamo quotidianamente producono sulla nostra componente psicologica e cerebrale.
L’ergonomia cognitiva, infatti, è la disciplina che studia come la mente umana interagisce con ambienti e strumenti di lavoro e definisce i principi per una progettazione degli strumenti e delle soluzioni che rendano questa interazione efficace, efficiente, soddisfacente e sicura.
La sfida in questo caso sarà quella di educare e garantire un utilizzo attento degli strumenti organizzativi, soprattutto digitali, per volgerli al benessere psico-fisico del lavoratore senza renderli fattori di potenziale disagio o rischio.
Affrontare un tema come quello di una nuova organizzazione del lavoro che coinvolge i cambiamenti epocali che il lavoro stesso sta subendo, richiede a chi voglia comprendere e gestire questi cambiamenti, un ripensamento di scenario che tenga conto di più livelli di sviluppo con conseguenze sulle risorse umane, sull’organizzazione del lavoro, sul territorio e sull’ambiente.
Per approfondire l’argomento leggi anche “Nuova ISO/PAS 45005: Sicurezza sul lavoro in tempi di Covid-19“.
A questo proposito, la linea guida ISO/PAS 45005 sulla Sicurezza sul lavoro in tempi di Covid-19 può essere considerata uno strumento di riferimento utile a definire ed organizzare al meglio i processi per una più efficace convivenza con le conseguenze di questo virus.
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